Complex Sleep Apnea
l termine di “Complex Sleep Disordered Breathing” è stato introdotto in tempi relativamente recenti per sottolineare che i disturbi respiratori dell’apnea ostruttiva (OSAS) e dell’apnea centrale nel sonno (CSAS) non si presentano sempre come due patologie distinte, ma possono associarsi variamente tra loro e trapassare da una forma nell’altra in rapporto, ad esempio, allo stadio di sonno, alla posizione corporea o alla terapia. Ultimamente è entrato in uso il termine “Complex Sleep Apnea” (ComplSA) per indicare una condizione diagnosticata inizialmente come OSAS, ma caratterizzata, durante l’applicazione di CPAP, dall’assenza di disturbi respiratori di tipo ostruttivo e dalla presenza di frequenti apnee centrali o respiro periodico di tipo Cheyne-Stokes. Per determinare la prevalenza e l’evoluzione della ComplSA, Cassel e coll. hanno studiato prospetticamente soggetti con OSA che dovevano essere avviati al trattamento con CPAP. A ciascuno di loro è stato richiesto di sottoporsi a tre polisonnografie notturne complete: la prima per uno studio diagnostico; la seconda per un’osservazione durante applicazione di CPAP ad un livello fisso determinato la notte precedente con una regolare titolazione; la terza per una nuova osservazione con la stessa CPAP dopo tre mesi di trattamento. La presenza di ComplSA veniva riconosciuta quando, alla seconda o alla terza polisonnografia, la frequenza complessiva di ipopnee, apnee ostruttive e miste era <5/ora di sonno, mentre quella delle apnee centrali era ≥5 oppure era presente abbondante respiro di tipo periodico. Oltre che per una metodologia più accurata che in molti altri studi che l’hanno preceduto, questo lavoro si distingue per essere l’unico che ha ricercato la presenza della ComplSA anche dopo un periodo prolungato di trattamento, indipendentemente dal fatto che essa si fosse già manifestata all’inizio della terapia. Su una casistica di 675 pazienti, la ComplSA è stata ritrovata alla prima delle due polisonnografie con CPAP nel 12,2% dei casi, mentre in quella eseguita nel follow-up dopo i tre mesi di trattamento nel 6,9%. Come già osservato in precedenti lavori, dei pazienti inizialmente con ComplSA solo una minoranza mostrava ancora disturbi respiratori dopo trattamento cronico. L’osservazione nuova e più interessante è stata però che solo circa la metà dei soggetti che al follow-up presentava una ComplSA erano stati classificati come affetti da questo disturbo anche prima. Rispetto ai soggetti senza ComplSA, sia coloro che mostravano la ComplSA inizialmente, sia quelli che la mostravano nel follow-up, avevano una maggior quantità di respiro periodico ed apnee centrali e miste durante l’esame polisonnografico diagnostico. Inoltre, essi si distinguevano per un’età media più avanzata, una maggiore frequenza di cardiopatia ischemica ed un sonno più leggero e frammentato, caratteristiche queste che è noto tendono ad associarsi ad un aumento della frequenza di apnee centrali e respiro periodico. Secondo queste osservazioni, la ComplSA potrebbe essere favorita da una predisposizione a sviluppare apnee centrali e respiro periodico dovuta all’età o a cardiopatie, e presentarsi variabilmente da una notte all’altra in rapporto alle caratteristiche del sonno, ed in particolare al suo grado di frammentazione. Gli autori non trascurano però di farci notare che i disturbi respiratori della ComplSA potrebbero anche essere stati una causa, e non un effetto, della maggiore frammentazione del sonno. Altre interessanti osservazioni sono che i soggetti con ComplSA avevano durante il trattamento con CPAP una frequenza di disturbi respiratori nel sonno (AHI) mediamente molto più bassa e valori di saturazione ossiemoglobinica migliori che prima dell’inizio della terapia, e mostravano un miglioramento soggettivo della sonnolenza, valutata con la scala di Epworth, simile a quello dei soggetti senza ComplSA. Il quadro della ComplSA che emerge da questo lavoro è quello di un’entità instabile e con una scarsa importanza clinica. Solo in pochi soggetti essa è presente costantemente in tempi diversi dall’inizio del trattamento, mentre nella maggior parte dei casi compare solo in modo transitorio e occasionale. Gli AHI durante l’applicazione della CPAP in media sono solo lievemente elevati, ed il grado di sonnolenza riportato dai pazienti dopo trattamento cronico non diverso da quello di tutti gli altri soggetti trattati. Ciò non esclude però che in una minoranza di pazienti la frequenza dei disturbi respiratori possa rimanere notevolmente elevata. Inoltre, in letteratura è stata descritta almeno una piccola casistica di soggetti con ComplSA che conservava un elevato grado di sonnolenza (Thomas RJ e coll., 2004). Sarebbero utili quindi nuovi studi che ci facciano comprendere quanto possa essere frequente una ComplSA clinicamente rilevante e le modalità migliori con cui affrontarla