Sindrome delle apnee centrali
Le alterazioni della funzionalità del respiro durante il sonno sono frequenti nella popolazione generale, è noto altresì che le malattie cardiovascolari sono al primo posto come cause di morte nel mondo industrializzato e che queste due patologie spesso interagiscono negativamente tra di loro, quindi è facile intuire come insieme giochino un ruolo importante nella pratica clinica. Lo studio dei disturbi respiratori durante il sonno ha permesso di valutare il loro peso sulla mortalità e morbilità cardiovascolare. La classificazione dei disturbi del respiro è fisiopatologica e distingue le sindromi delle apnee di tipo ostruttivo (OSAS) e le sindromi delle apnee di tipo centrale (CSAS). Le apnee di tipo centrale identificano quella condizione definita come respiro periodico di Cheyne Stokes, caratterizzato da ricorrenti ipopnee o apnee seguite da iperventilazioni che presentano un tipico pattern di crescendo-decrescendo del volume corrente. La CSAS è frequente nei pazienti con insufficienza cardiaca, ma si osserva anche nel-l’uremia, in neuropatie, squilibri acido-base, ipossia da alta quota, e in nati prematuri. Anche in soggetti normali, durante il sonno, in seguito ad esempio a atti respiratori più profondi, la PCO2 scende al di sotto di un valore definito soglia apnoica e si verificano delle riduzioni o sospensioni del respiro (ipopnee o apnee). In condizioni di instabilità ventilatoria gli arousal che seguono le apnee possono innescare fluttuazioni respiratorie tipiche delle apnee centrali. Tutto questo è dovuto alla tendenza in questi soggetti all’iperventilazione, che inducendo un calo di PaCO2 al di sotto della soglia apnoica, dà inizio all’apnea; la conseguente ipossia e l’ipercapnia innescano la cascata di attivazione chemorecettoriale – iperventilazione – apnea, generando così un nuovo ciclo di fluttuazione respiratoria e mantenendo il pattern oscillatorio tipico del respiro di Cheyne-Stokes. La congestione polmonare presente nel paziente con scompenso cardiaco contribuisce a rallentare i segnali chemorecettoriali facendo sì che arrivi il segnale della fase apnoica ai recettori durante la fase iperpnoica, innescando una nuova apnea e così via. L’apnea di origine centrale non ha un effetto diretto sulla portata cardiaca, mancando l’effetto meccanico dell’ostruzione delle prime vie aeree e la conseguente eccessiva pressione negativa intratoracica; tuttavia ha un effetto negativo sulla funzione cardiaca legato all’iperattivazione simpatica dovuta all’ipossia e all’ipercapnia della fase apnoica. In diversi studi è anche stata confermata la prognosi più sfavorevole in pazienti con disfunzione ventricolare sinistra e associata CSAS; in tali pazienti si instaura infatti un circolo vizioso per il quale in prima battuta è la disfunzione sistolica e la congestione polmonare che genera il disturbo respiratorio e quest’ultimo a sua volta ne peggiora il decorso con l’iperattivazione simpatica. Si è osservato che il trattamento medico dello scompenso cardiaco o il trapianto cardiaco, ha risolto in diversi pazienti la CSAS. La terapia diretta della CSAS, sia il trattamento con teofillina sia quello con acetazolamide, hanno evidenziato qualche beneficio nel ridurre la severità delle apnee, ma gli effetti avversi ne hanno scoraggiato l’impiego estensivo. L’ossigeno terapia notturna, riducendo l’attività chemocettiva periferica e innalzando così la PaCO2 al disopra della soglia apnoica, permette di ridurre il numero di apnee notturne. Anche la ventilazione con pressione positiva continua è stata utilizzata con successo nei pazienti con CSAS e scompenso cardiaco, questa infatti contribuisce verosimilmente alla riduzione del postcarico, dà supporto ai muscoli respiratori, migliora il rapporto ventilazione-perfusione e riduce la seppur minima componente ostruttiva migliorando così anche l’instabilità delle prime vie aeree. Anche se i benefici della CPAP nei pazienti scompensati sono confortanti (migliora non solo le apnee notturne ma riduce anche il rigurgito mitralico, riduce la concentrazione plasmatica del fattore natriuretico atriale ed urinaria di norepinefrina) si aspettano ulteriori conferme per un uso ancor più estensivo di tale trattamento.