Dormire meglio…..pensare meglio
Ogni volta che un fumatore inala una boccata di fumo riduce la quantità di ossigeno disponibile che può essere distribuita ai tessuti del proprio organismo: lo si legge da mesi pure sui pacchetti di sigarette, nel tentativo di dissuadere da un’abitudine autolesionista. Ma a volte invece è proprio il nostro stesso organismo ad avvelenare i suoi organi quasi a tradimento, nel momento in cui siamo più indifesi: il sonno. Chi russa ed interrompe periodicamente la respirazione – le apnee – interrompe lo scambio di aria tra i polmoni e l’ambiente circostante: le riserve di ossigeno gli si riducono mentre si accumula l’anidride carbonica: l’organismo soffre ed interrompe il sonno letteralmente per riprendere fiato. L’usura che ne deriva aumenta il rischio cardiovascolare: la pressione arteriosa si alza, aumenta il rischio di infarto cardiaco e di scompenso cardiaco cronico; si elevano le probabilità di formazione e destabilizzazione delle placche di aterosclerosi. Ma è soprattutto il cervello a soffrire di questa asfissia ripetitiva. L’encefalo è un organo che ha bisogno di un notevole apporto di ossigeno per funzionare adeguatamente ed è rapidamente danneggiato dalla sua carenza. Una serie di meccanismi di protezione fa sì che in caso di necessità si metta in atto un risparmio dell’apporto ad altri organi meno ‘nobili’ (intestino, pelle) e tutte le riserve vengano convogliate verso il cervello per salvaguardarlo il più possibile. L’irrorazione sanguigna durante il sonno non è tuttavia omogenea nel corpo, ed alcune aree che vengono messe funzionalmente a riposo soffrono maggiormente. Inoltre il cervello in toto soffre così per la scarsa qualità del sonno. Questa sua frammentazione continua – di cui al mattino non si conserva ricordo perché in genere i microrisvegli non superano la soglia della consapevolezza – presenta il suo conto già al risveglio, che è sempre più difficoltoso, spesso con la sensazione di essere ancora più stanchi di quando si è andati a dormire. Il debito di sonno accumulato notte dopo notte induce ad addormentarsi anche durante il giorno, tutte le volte che cala la soglia di attenzione: la guida in autostrada per lunghi tratti diventa una pericolosa piccola tortura, la sera il sonno irrompe appena la poltrona e la TV accesa lo conciliano; quando i familiari dopo una giornata di lavoro vorrebbero avere un po’ di vita di relazione chi ha le apnee nel sonno desidera invece solo dormire. Prima che questi eventi siano eclatanti, in modo più subdolo si riduce la capacità di concentrazione, ci si dimenticano nomi e talora anche appuntamenti, si perde reattività, l’ideazione rallenta, i riflessi divengono più torpidi. Si dà la colpa agli anni che avanzano, a volte ci si domanda se non si tratti dei primi segni di deterioramento cerebrale, ma sempre tra sé e sé perché le notizie sono poche e la scarsa conoscenza media di questa malattia, anche tra la classe medica, porta spesso ad ottenere risposte riduttive o fuorvianti. Ecco il ritratto del paziente tipo: russatore, con maggiore frequenza di sesso maschile (il rapporto maschi:femmine è 2:1), spesso obeso, con apnee nel sonno che si interrompono con una “rumorosa” riapertura delle vie aeree di cui è testimone – inizialmente preoccupato e col tempo sempre più irritato – il partner. Nel mondo occidentale, e quindi in Italia, ne è affetto oltre il 3 % della popolazione adulta (1.500.000 circa di persone), spesso inconsapevolmente esposta alle conseguenze di questa patologia. Il trattamento è spesso multidisciplinare, con una lotta al sovrappeso (siamo in epoca di crociate contro fumo, alcol ed obesità!) da un lato e dall’altro alle alterazioni morfologiche delle prime vie aeree che spesso sono la causa remota di questa malattia; ma come frequentemente avviene in medicina la rimozione della causa non sempre riesce a risolvere completamente le conseguenze. C’è per fortuna un trattamento che risulta completamente risolutivo e consiste nell’evitare che le vie aeree possano chiudersi, aggiungendo una modesta pressione positiva all’aria che viene inspirata. Una piccola maschera appoggiata sul naso, o un po’ più grande ad includere la bocca in coloro che durante il sonno non riescono a tenerla chiusa, è collegata ad un piccolo ventilatore polmonare. La forza dell’aria che entra fa una sorta di sostegno alle pareti della gola che tenderebbero a collassare e finalmente il paziente respira e riposa regolarmente per l’intera notte. Il beneficio è immediato, entro pochi giorni la lucidità durante il giorno viene riacquistata, scompare la sonnolenza, si può tornare al cinema o a teatro senza fare figuracce e ai meeting di lavoro si evita l’imbarazzo di sbadigli, cali dell’attenzione o addirittura addormentamenti plateali. Ogni notte il paziente deve indossare la sua mascherina: ma – poiché i disturbi scompaiono e a nessuno piace l’idea di continuare ad essere malato – dopo l’entusiasmo dei primi tempi si può ingenerare col tempo una sgradevole sensazione di dipendenza che spinge a percorrere altre strade. Con una appropriata selezione gli specialisti otorino, maxillo-facciali, ortodonzisti possono fare molto, in alcuni casi anche giungere alla risoluzione completa del problema, ma è necessario un vero lavoro di team multidisciplinare: l’improvvisazione in questo campo non paga. Le procedure di diagnosi sono oggi molto più semplici, le apparecchiature da utilizzare per la terapia sempre più confortevoli, silenziose e di dimensioni ridotte. Il messaggio è doppiamente positivo perché non solo si evitano i noti rischi cardiovascolari, ma tangibilmente ogni giorno il paziente constata che il suo cervello non era invecchiato così velocemente: dormire meglio e respirare meglio fanno davvero pensare meglio.